Monastero benedettino del Salvatore e dei Santi Felino e Gratiniano

Cartellonistica realizzata ad opera del G.A.S.M.A (Gruppo archeologico storico mineralogico aronese) e del Lions Clubs International ARONA STRESA LIONS CLUB - approfondimento


Sul sito dell’odierno palazzo comunale di piazza De Filippi, dominava, a partire dalla seconda metà del X secolo e fino al XVI, il monastero benedettino dedicato al Salvatore e ai martiri Gratiniano e Felino, fortificato, imponente, protagonista nelle vicende storiche.

La Cronaca aronese, che si conserva nell’archivio parrocchiale, paleograficamente assegnabile, secondo Lucioni, alla seconda metà dell’XI secolo o al più tardi ai primi del XII, ci informa che le reliquie furono trasferite da Perugia «ad Castrum, quod Arona dicitur», nel quale il conte Adam/Amizo del Seprio, in loro onore e del Salvatore, edificò il cenobio benedettino. Dunque alla sommità della propaggine morenica digradante verso il lago, dove ora sorge il palazzo municipale, Amizo lo costruì “dignitoso secondo la regola”, e lo dotò di beni affinché ai monaci non mancasse il necessario. La carta restituisce l’anno 963 per i fatti raccontati; tuttavia, poiché fornisce anche indicazioni riferibili al 979, gli storici ritengono che l’istituzione dell’ente si collochi tra gli anni sessanta e settanta del X secolo.

Per la scarsità delle fonti documentarie, la configurazione fisica del monastero nella fase iniziale è nell’ambito delle ipotesi. La consuetudine prevedeva che gli ambienti monastici fossero organizzati intorno al claustrum, il chiostro, con a nord quasi sempre l’abbaziale, a est la sala del capitolo e il dormitorio, a sud il refettorio e la cucina, a ovest la cantina sormontata dalla dispensa. Altre strutture che ospitavano i servizi connessi alla vita comunitaria erano l’ospizio dei pellegrini e dei poveri, le case per gli ospiti di riguardo, il laboratorio comune, il mulino, il forno, il torchio, il granaio, i pollai, le stalle e, a est del complesso, gli orti. Lo scriptorium, cioè la biblioteca, era attiguo alla chiesa e nei pressi era la casa dell’abate. Anche il monastero di Arona nel corso dei secoli andò adeguandosi sempre più a questi schemi.

Il frammento di pluteo in marmo bianco di Candoglia, recuperato nel cortile del municipio fra i detriti accumulati nella ristrutturazione di una scala interna (primavera 1990), potrebbe essere l’unica attestazione di una chiesa nel castrum cronologicamente precedente il riferimento documentario della fondazione monastica.

Nel 1014 o poco dopo (la prima citazione è del 1023) la Rocca aronese e il castrum con annessa l’istituzione entrano nella sfera d’influenza dell’arcivescovo ambrosiano. E di questo periodo l’altro reperto occasionalmente ritrovato con il frammento marmoreo. Si tratta di un Capitello a stampella decorato a motivi floreali e a palmette peduncolate a ricciolo, dal delicato pittoricismo.
Coevo è il pilastrino a fascio in marmo rosato di Candoglia emerso durante la ristrutturazione di un locale (settembre 1996) in via Pertossi 3. È costituito da un corpo parallelepipedo ai cui spigoli si ancorano tre colonnine, la quarta è inglobata nella struttura muraria. Esse hanno base a dado con smussi sferici e capitelli cubici a foglie d”acqua ovate. Quest’ultimo reperto è certamente uno degli elementi strutturali del chiostro, citato la prima volta nel 1173.

Utili all’ubicazione di quest’area che costituisce il cuore del monastero sono l’inventario dei beni immobili abbaziali del 1468, gli acta della visita pastorale compiuta da Carlo Borromeo nel 1566, ultimo abate commendatario dell’ente, e il resoconto, datato 1573, delle Convenzioni tra il padre Filippo Trevisano, procuratore della Compagnia di Gesù, a cui l’anno precedente l’abbazia era pervenuta, e i fratelli Martinella, capomastri, per la ristrutturazione dell’intero complesso.
Dunque il chiostro “antichissimo”, di cui nel 1566 rimanevano solo le vestigia con cinquanta colonne «marmoreis albi et nigri», confinava a nord con l’abbaziale. A metà Quattrocento a est era la «domus columbaria», che si affacciava sugli orti prospicienti il prato Oliveto digradante fino all’attuale piazza San Graziano. La manica che delimitava il chiostro a est era dunque la domus abitativa sormontata dalla colombaia, secondo schemi rurali quattrocenteschi ricorrenti in area novarese e lombarda. Al piano terra era il dormitorio, probabilmente quello fatto edificare dall’abate commendatario Francesco Borromeo.

Già nel 1173 era attestata l’antica «caneva de Arona», la cantina alla quale si doveva consegnare il mosto da parte dei livellari dei vigneti di proprietà del monastero. A metà Cinquecento il dormitorio quattrocentesco fungeva da canepa e la colombaia soprastante da granaio. Con le ristrutturazioni gesuitiche il primo diventò refettorio, sotto il quale fu interrata la nuova cantina; nell’occasione si ordinò anche di «stoppar tutti li busi» esistenti nel muro della colombaia per trasformarla in «salone».

Nel XVI secolo si attesta che tra il dormitorio e la sacrestia annessa alla chiesa era una «camera» con camino, forse l’ambiente privato dell’abate o la sala capitolare, resa confortevole e funzionale secondo il gusto dell’epoca, cui si accedeva dal chiostro mediante un portale in pietra sormontato da lunetta. Si ipotizza che il manufatto sia quello tuttora conservato nel lapidario della canonica di Santa Maria, rappresentante San Benedetto e monaci, della seconda metà del Quattrocento.
Accanto al dormitorio, ad angolo nella manica sud del chiostro, era la cucina vecchia con camino, probabilmente confinante con il primo «rifictorio monachorum», dove nel 1203 fu solennemente convocato il capitolo.

Durante i recenti lavori di ristrutturazione del municipio (1990) è stato messo in luce anche un pozzo medievale del diametro di 80 centimetri circa, costruito in ciottoli. La struttura, che già compare in una mappa secentesca nell’area allora destinata a giardino a sud della chiesa, e una conferma archeologica dell’ubicazione del chiostro antico, all’interno del quale era consueta la fonte d’acqua per i bisogni quotidiani dei monaci.

Una casa del monastero, situata nell’angolo sud-ovest del complesso, tra l’attuale piazza De Filippi e via Garelli, era forse la foresteria. Di fronte, nell’odierno parco Marini, era la «giodera», dove si confezionavano le stoffe che erano esposte e vendute durante la fiera di San Bernardino, dal 15 maggio al 15 giugno. Nei pressi era uno «stallo», già menzionato nel 1267, ubicato a destra della «pusterla», presso la «porta Monastero», che si apriva nella cinta muraria a sud del borgo. Nel Settecento in questa parte erano anche la «tinera» e un grosso torchio lungo 16 metri. Di «torculi dicti monasteri» si parla anche in una carta del 1319 e in esso era una cella carceraria.

Accanto al cimitero, situato a nord-ovest della chiesa di San Gratiniano, sorgeva la domus pellizaria, la conceria delle pelli.

Nonostante i radicali ammodernamenti gesuitici che si susseguirono a partire dal 1573, la situazione odierna del complesso municipale permette di individuare le ristrutturazioni quattrocentesche in alcuni soffitti che presentano le volte lunettate. Nell’odierno chiostro, costruito a metà Quattrocento con volte di pietra viva, ricostruite nel secolo successivo in laterizi, si osservano, come reimpieghi, cinque pilastrini ottagonali in serizzo, con capitelli databili tra la fine dell’XI e il XII secolo, a volte rimaneggiati, che con i tre elementi simili rinvenuti in via del Forno (1991), in pietra rosa di Arona o di Angera, e con il pilastrino a fascio di via Pertossi a tutt’oggi sono l’unica testimonianza rimasta della più antica struttura monastica benedettina aronese.

A partire dal 1664 i Gesuiti ampliarono il complesso, costruendo la manica occidentale lungo la contrada (ora via San Carlo, ex sede municipale) adibendola, in accordo con la Comunità, a edificio scolastico. Essi rimasero ad Arona fino al 1773: l’ex monastero fu quindi incamerato dal demanio. Divenuto proprietà di privati, nel 1884 giunse, parte per donazione, parte per acquisto, al Comune di Arona.

GALLERIA FOTOGRAFICA:

Pilastro e capitello dell'abbazia benedettina reimpiegati in un'abitazione privata

Pilastro e capitello dell’abbazia benedettina reimpiegati in un’abitazione privata

Capitello nell'attuale palazzo comunale

Capitello nell’attuale palazzo comunale

BIBLIOGRAFIA:
ARONA NELLA STORIA, edizione promossa dal Comune di Arona interlinea edizioni, in collaborazione con il G.A.S.M.A.

Pagina aggiornata il 21/03/2024

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